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Una intesa storica?
Tutt’altro che storico appare
l’accordo sulla rappresentanza sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Confsal
con Confindustria.
Esso ci sembra, più che altro, un
accordo che lascia allibiti per gli effetti devastanti che può produrre e per
la leggerezza con la quale sembra essere stato stipulato.
Questo accordo mostra, in modo fin
troppo evidente, che ancora una volta Cgil, Cisl e Uil hanno avuto paura del
pluralismo e, in ultima analisi, proprio di quella parte del dettato
costituzionale (art. 39) che consente ad ogni lavoratore di farsi
rappresentare, con efficacia, da chi vuole.
L’organizzazione sindacale – dice la
Costituzione - è libera e ad essa “non può essere imposto altro obbligo se non
la sua registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di
legge”.
Invece con questo accordo Cgil, Cisl, Uil tentano,
nuovamente, di esibire una concezione proprietaria della rappresentanza e della
contrattazione collettiva che non sappiamo se definire più arrogante o ingenua;
sicuramente esso è tale da costringere altri (p.e. Ugl e Confsal) a
sottoscriverlo per non restare fuori dai “giochi”.
Sicuramente è arrogante perché le organizzazioni maggiori
sembrano, ormai, aver interiorizzato a tal punto il privilegio e la convinzione
di poter fare da sé, da ritenere di poter
esercitare il loro ruolo non solo al di
fuori, ma anche al di sopra, delle leggi dello Stato e della stessa
Costituzione; altrettanto sicuramente essa appare ingenua perché,
probabilmente, le parti dell’accordo ritenute, proprio dai firmatari
dell’intesa, più significative si
rivelino, alla fine, anche le più inapplicabili.
Siamo, insomma, di fronte ad una incredibile commistione di
approssimazione e di autoreferenzialità che giunge a considerare la libertà
di organizzazione sindacale, così come
sancita dall’art. 39 della Costituzione, come un
principio astratto, impossibilitato ad evolvere compiutamente in un “diritto
sindacale” effettivamente esercitabile, da tutti, all’interno dell’impresa.
Ciò in
virtù del fatto che, come è noto, il diritto sindacale non può esaurirsi nel
semplice riconoscimento del momento associativo ma, per essere effettivo, deve,
necessariamente, espandersi sino a consentire l’attivazione efficace di quei
diritti (primo fra tutti quello alla contrattazione) in grado di rendere
concreta e reale l’azione sindacale nel luogo di lavoro.
Peraltro
l’ostacolo a tale diritto potrebbe, ancora oggi, essere sanzionato dal ricorso all’art.28
della legge 300/70 (attività antisindacale) poiché la libertà sindacale è
finalizzata a superare lo squilibrio contrattuale tra prestatore e datore di
lavoro senza prevedere limiti numerici (come, del resto, sancisce anche lo
statuto dei lavoratori che ha eliminato, da tempo, il concetto di maggiore
rappresentatività sostituendolo con il concetto, più ampio e diverso, di
rappresentatività comparata).
Tale
visione concorre, a nostro avviso, al disegno di realizzare una uguaglianza
sostanziale dei cittadini prevista dalla nostra carta costituzionale e consente di sottolineare che il nostro ordinamento legislativo in materia di lavoro realizza un
vero e proprio sostegno all’attività sindacale nei luoghi di lavoro
considerandola un valore positivo che può contribuire, anche, ad una visione
imprenditoriale più ampia e matura che può far evolvere positivamente l’intero
sistema.
Diversamente porre all’attività sindacale i limiti che pone l’attuale intesa sulla rappresentanza rischia di ridurre la stessa incisività dello Statuto dei Lavoratori riducendo il sistema di diritti la cui estensione serve, invece, a rafforzare il sindacato come forma istituzionale e di autotutela, attribuendogli prerogative volte a valorizzare il momento collettivo rispetto all’esercizio individuale delle libertà.
Diversamente porre all’attività sindacale i limiti che pone l’attuale intesa sulla rappresentanza rischia di ridurre la stessa incisività dello Statuto dei Lavoratori riducendo il sistema di diritti la cui estensione serve, invece, a rafforzare il sindacato come forma istituzionale e di autotutela, attribuendogli prerogative volte a valorizzare il momento collettivo rispetto all’esercizio individuale delle libertà.
Per
questa ragione potremmo definire l’intesa raggiunta una intesa consociativa in
quanto frutto esclusivo di accomodamenti e compromessi patologici fra le
diverse organizzazioni sindacali nella speranza di controbilanciare i conflitti
che continuano ad esistere in una società sempre più complessa ed articolata.
A lungo andare, peraltro, tali comportamenti hanno
fatto sì che il “sistema sindacale” abbia sempre meno ricambi, isterilendosi
sempre più e degenerando progressivamente verso un sistema “autoritario”
capace, prevalentemente, di produrre alterazioni profonde, strutturali e non
episodiche del sistema sindacale.
Ad una degenerazione di questo tipo ci stiamo
progressivamente avvicinando in particolare se si continua a perseguire l’emarginazione
dal circuito contrattuale di quelle parti, ormai significative, del mondo del
lavoro che non si riconoscono più in Cgil, Cisl e Uil ma che hanno, ugualmente,
diritto ad essere rappresentate.
Come è possibile, ci chiediamo, che un
sindacato che dovrebbe fare della democrazia, della partecipazione, della
capacità di unire, le sue parole d’ordine divenga, quasi senza colpo ferire, un
sindacato che divide, che ostacola la partecipazione, un sindacato che, cessando
di essere uno strumento dei lavoratori, divenga un qualcosa di sempre più
autoritario ed antidemocratico ?
Fismic Confsal Roma
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